L'esclusione dei dirigenti dal divieto di licenziamento individuale (ma non da quello collettivo) che era stato previsto durante la pandemia COVID, viene sottoposto al vaglio della Corte costituzionale con l'ordinanza interlocutoria della Cassazione 15030 del 29 maggio 2024, che rimarca il possibile contrasto con l'art 3 della Costituzione . Ecco i dettagli.
Licenziamento individuale del dirigente nullo
Nel caso in esame, la Corte d'Appello aveva dichiarato nullo il licenziamento di un dirigente, avvenuto durante un processo di riorganizzazione aziendale, sostenendo che il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovuto alla pandemia si sarebbe dovuto applicare anche ai dirigenti. La nullità del licenziamento era stata giustificata con il contrasto con una norma imperativa.
La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, pur ritenendo manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale formulate dal datore di lavoro, ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 46 del DL 18/2020 per presunto contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
I giudici hanno evidenziato come l’art. 10 della Legge 604/66 escluda esplicitamente i dirigenti dal divieto di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, mentre essi sono inclusi nella disciplina dei licenziamenti collettivi. Questa asimmetria è stata giudicata irragionevole e in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.
La Corte ha sottolineato che la ratio del divieto di licenziamento era quella di evitare che le conseguenze economiche negative della pandemia causassero un massivo incremento dei licenziamenti per motivi economici. Tuttavia, questa ratio è stata applicata solo ai lavoratori dipendenti non dirigenti, escludendo i dirigenti dai licenziamenti individuali, ma non da quelli collettivi.
Le motivazioni della Cassazione
L’ordinanza evidenzia due considerazioni da parte della suprema Corte :
- la prima riguarda la non applicabilità analogica del divieto, essendo una norma eccezionale introdotta dalla normativa emergenziale.
- La seconda concerne le misure di sostegno previste dal legislatore (come la cassa integrazione guadagni e la sospensione temporanea di oneri fiscali e previdenziali), che presuppongono una portata generalizzata del blocco dei licenziamenti.
La Cassazione ha evidenziato come il divieto di licenziamento abbia imposto un sacrificio significativo alle aziende, particolarmente in riferimento ai licenziamenti collettivi, che coinvolgono un numero maggiore di dipendenti e comportano oneri procedurali considerevoli. Nonostante ciò, per i dirigenti, il divieto di licenziamenti individuali per ragioni oggettive è stato escluso, nonostante la presenza di misure di sostegno che avrebbero potuto compensare tale esclusione.
L'ordinanza della Corte di Cassazione ha quindi posto in evidenza un problema di ragionevolezza nella normativa emergenziale adottata durante la pandemia, rimettendo alla Corte Costituzionale la valutazione della legittimità costituzionale dell’esclusione dei dirigenti dal divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Questa pronuncia sottolinea l'importanza di un approccio equilibrato e coerente nelle misure di tutela del lavoro in situazioni di emergenza economica e sanitaria, ponendo la questione delle garanzie di protezione identiche per tutti i lavoratori, inclusi i dirigenti.